Esodo

Esodo è la storia del nostro cammino, la letteratura del nostro tentativo di farci strada. È il
nostro viaggio attraverso i mezzi che abbiamo a disposizione. Quelli che la risacca del mare
ci ha lasciato a riva. Esodo è lo stupore di immaginare l’inimmaginabile: un deus ex
machina, un amplificatore di luci e di suoni che si nasconde là dove noi non possiamo
nasconderci.
Ci interroghiamo sulla nostra umana predisposizione alla schiavitù. Schiavi dell’io, schiavi
di io, d’io.
Ecco che le nostre macchinazioni teatrali si fanno metafora precisa delle macchinazioni di
potere. Citando James Joyce, Marguerite Yourcenar e William Kentridge con i suoi giochi
di ombre, cerchiamo di attraversare una terra che non troviamo mai.

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Esodo: l’innovazione in una migrazione millenaria

Il tema della più famosa migrazione della storia, la fuga d’Egitto, non è mai stato così attuale.
Ma di fronte all’ennesimo spettacolo di denuncia sociale sull’argomento, il timore è quello di assistere a qualcosa di già visto.
E la paura cresce nel momento dell’introduzione fatta da Davide Gorla ed Enrico Ballardini, che accolgono gli spettatori con un breve gioco interattivo, facendogli creare una barchetta con un foglio di carta. Tra migranti e barche, il rischio di sfociare nella scontatezza è vicino.

Poi la smentita. Fin dall’inizio, “Esodo” catapulta il pubblico in un’atmosfera dalla comicità surreale. Gorla e Ballardini hanno esordito con una canzone che si accoda alla tradizione dei cantori comici alla “Mistero Buffo” e da lì hanno proseguito accompagnando i fruitori per l’intero spettacolo nei panni dei sacerdoti Aronne e Cur. Coinvolgenti e affiatati, attraverso canti e piccoli sketch hanno fatto divertire gli spettatori dall’inizio alla fine.

A controbilanciare le loro parti fortemente umoristiche è stata Giulia D’imperio nel ruolo di Mosè. L’interpretazione dell’attrice mostrava l’intento di compensare quella dose d’ilarità fuori dagli schemi con una parte più seria, contenente la vera morale dello spettacolo: tutti nella storia siamo stati dei migranti e tutti potremmo esserlo.

Un punto chiave della rappresentazione è senz’altro la regia collettiva. Innovative le scelte della compagnia, che ha saputo destreggiarsi al meglio con la scenografia realizzata da Margherita Platè. I tendoni sono diventati parte integrante dello spettacolo, utilizzati per creare di volta in volta spazi, forme e ambienti diversi. Ugualmente si nota il meticoloso gioco di luci e ombre disegnato da Monica Gorli: grazie ad un proiettore, i tre attori hanno dato vita ad una pluralità di personaggi e hanno trascinato gli spettatori in un mondo astratto e ipnotico.

L’unica nota negativa riguarda il finale. Sarebbe stato preferibile che la metafora alla base dello spettacolo rimanesse implicita, non si sentiva la necessità di esplicitarla con il rimando ai dieci comandamenti. Un po’ come nei testi sacri in cui l’intento divulgativo si muove attraverso exempla, così è stato e poteva rimanere lo spettacolo “Esodo”: un macro exemplum tramite il quale riflettere sulla nostra società contemporanea.

In ogni caso, si può tranquillamente dire che gli attori della Compagnia Odemà sono riusciti ad affrontare sapientemente una tematica molto nota e l’hanno reinventata per proporre un prodotto fresco, creativo e ben confezionato.

Jasmine Turani

 

La recensione